Perché di nuovo la distorsione alla caviglia?

By 16 Novembre 2016Blog, Narrativa

Di recente mi è accaduto un episodio che mi ha fatto molto riflettere.
Un caro amico, che già si era rivolto a me per un problema di distorsione, è tornato per una storta alla caviglia. Ovviamente, essendo il suo fisioterapista, vederlo tornare tutto preso dal dolore non è stata una bella notizia. Penso sia normale rimanerci un po’ male, avendolo seguito per recuperare il trauma della distorsione.
Mi sono subito chiesto se avessi “toppato” da qualche parte o se mi fosse sfuggito il suo recupero totale.
La prima domanda che è mi venuta spontanea fargli è stata: “perché di nuovo la distorsione?”.
Gliela pongo un po’ per allontanare l’idea che potessi aver sbagliato io, un po’ per vedere se lui non avesse combinato qualcosa mettendoci del suo… può succedere.
Avevamo fatto il ciclo riabilitativo completo, la caviglia rispondeva bene ai test e non vi era più alcun dolore. La caviglia non dava segnali di cedimento né di problemi ulteriori. La prima distorsione era avvenuta perché il piede non poggiava correttamente: la gamba era completamente fuori asse, non a posto, e questo era stata la causa della prima storta.
E fin lì normale amministrazione.

Se hai letto qualche articolo su questo blog, saprai ormai quanto sia importante imparare a muoverci correttamente. Ci eravamo messi all’opera e il primo trauma era stato subito eliminato con il lavoro di riequilibrio manuale e di educazione al movimento seguendo la prassi del Codice del Movimento.
Lui si sentiva bene, e mi spiega che gli era venuta voglia di riprendere a giocare a basket, visto che tutto sembra andare per il meglio.
Quando ecco… di nuovo la distorsione, per di più durante una partitella tra amici all’ora di pranzo.
Perché?
Ecco che qui mi sono preoccupato di aver dimenticato qualcosa, di non aver analizzato la situazione o di essere stato troppo precipitoso nel congedarlo. Devo ammetterlo: a volte succede che qualche cliente ritorni dopo poco tempo perché il dolore si riacutizza, ma si pone rimedio, riconosco l’errore e tutto si risolve.
Però in questo caso mi domandavo:
Il lavoro riabilitativo non era completo?
Non ho valutato a fondo il problema?
Riesaminando i dati dei test specifici e delle prove predittive, mi ero convinto che tutto fosse in ordine. E allora cos’altro poteva aver determinato il trauma? Cosa non aveva funzionato?
Ero completamente concentrato sull’Analisi Predittiva, che mai mi aveva lasciato a piedi.
Possibile che questa volte avessi totalmente sbagliato l’analisi?
Non mi davo pace e così ho iniziato la ricerca.
Domando: “Dopo quanto tempo di gioco hai avuto il trauma?”.
Risponde: “Quasi alla fine della partitella”.
“Quando sei andato a giocare ti sentivi stanco?”.
“Sì, ero indeciso se andare a casa per il pranzo e riposarmi oppure giocare. Dentro di me mi son detto: se non vado sono un molliccio, non posso soltanto lavorare, non ho mai un po’ di tempo libero per divertirmi. E poi cosa penseranno di me i miei amici, che do loro una buca?”.
Tombola!
Essere indecisi, non avere chiaro il nostro bisogno è il vero problema, quello che ci conduce a fare cose su cui non siamo concentrati!
Purtroppo tutti noi siamo sempre più presi da mille problemi e non siamo in grado di organizzare la giornata. Se voglio giocare all’ora di pranzo è bene che pianifichi per tempo. E poi, oltre al tempo disponibile servono le energie giuste, quelle energie che provengono dal cibo e dal riposo.
Invece, come spesso accade, la sera precedente si va per le lunghe, si dorme meno, la mattinata è tutta presa dal lavoro e si arriva all’ora della partita soltanto con un caffè.
Sentiresti anche il bisogno di mangiare e riposare, e invece no, non puoi permettertelo, non puoi mancare. Guai!
Quindi vai a giocare, e cosa succede?
Trauma. Ti fai di nuovo male.
In genere pensiamo: “È la sfortuna, non posso permettermi nemmeno una partitella”.
Siamo subito pronti ad appellarci a cause esterne a noi. Tutte le volte che pensiamo che la colpa di ciò che ci succede sia esterna a noi, cadiamo nella trappola delle scuse e non affrontiamo il vero problema che è invece sempre dentro di noi.
La causa che ha generato la nuova distorsione alla caviglia era stato il ripristino automatico del vecchio schema con cui il mio amico saltava e correva.
Quando il corpo è stanco, usa gli schemi di movimento che meglio conosce perché risparmia. In questo caso, il corpo del mio amico si era riadattato al vecchio schema da poco sostituito attraverso il ciclo riabilitativo.
La stanchezza, già presente, era aumentata con l’accrescersi dello sforzo fisico durante la partitella, l’attenzione si era ridotta e la caviglia aveva di nuovo intrapreso la strada verso la distorsione, in quanto il movimento automatico scorretto aveva trovato campo libero.

Morale della storia?
Alla stanchezza si rimedia solo con il riposo e i vecchi schemi scorretti si rieducano con il lavoro e con la vera “presenza” in quello che facciamo; non basta fare un po’ di esercizi.
Questo è il primo impegno per cambiare veramente, ovvero essere concentrati appieno ed esclusivamente in quello che si fa in quel preciso momento.
Vi garantisco che si è in pochi a essere presenti nella propria realtà.
Nel caso del mio amico, egli non ha considerato la stanchezza, che è tuttavia una sensazione facile a riconoscersi e di notevole importanza per l’equilibrio del corpo. Evitare questo riconoscimento ha pregiudicato il lavoro di Rieducazione del Movimento nel primo ciclo perché egli non era concentrato e pienamente presente in quello che faceva. Pensava di aver già fatto tutto affidando la carrozzeria del suo corpo al fisioterapista.
Ora ha ben compreso che il suo corpo necessita di attenzioni complete e che non può fare più cose contemporaneamente.
La conferma alle mie ipotesi viene proprio da lui, che leggendo questo articolo si è riconosciuto nella storia.
Quando facciamo una cosa con la mente distratta, è solo la memoria superficiale a lavorare.
Abbiamo sì la sensazione di aver capito, di sapere, ma in realtà dopo poco tempo il cervello cancella le informazioni perché, non avendo dedicato loro un’attenzione piena e profonda, le considera fatti di poco rilievo.

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